Questo è il mio nuovo libro "L'AMORE E' SOLO CHIMICA. O FORSE NO..."

Questo è il link di "il mio libro.it" dove potete vederlo o acquistarlo (E' IL PREZZO PIU' CONVENIENTE):

https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/529631/lamore-e-solo-chimica-o-forse-no/

Questo è il link di IBS.it dove potete vederlo o acquistarlo (IL PREZZO DI COPERTINA E' SCONTATO DEL -15%):

https://www.ibs.it/amore-solo-chimica-o-forse-libro-guido-colombani/e/9788892365889

questo è il libro su La Feltrinelli .it link:

https://www.lafeltrinelli.it/libri/colombani-guido/l-amore-e-solo-chimica/9788892365889

con il -15% di sconto

Cosa significa il titolo del libro e il suo contenuto

Come avete notato dalla copertina, il sottotitolo è "Analisi scientifico-sentimentale dell'amore, raccontata da un Toscano in dialetto Lucchese".

Vuol dire che alla base del libro c'è il racconto della storia d'amore tra un uomo e una donna e lungo il lorotragitto amoroso, inserisco i loro dialoghi in dialetto lucchese.

Prima di tutto mi scuso perchè il carattere del testo qui è stato modificato automaticamente dal programma di scrittura. Il testo che avete letto è quello che appare nell'ebook con le parole in dialetto lucchese in corsivo e la spiegazione in lingua italiana subito accanto tra parentesi con un "corpo" più piccolo, per meglio idividuarlo. Nel libro le parole in dialetto lucchse sono scritte anche quelle in corsivo, quasi tutte, ma sono numerate e trovate la spiegazione a piè di pagina. 

Oltre ai dialoghi in dialetto, troverete numerosi articoli tratti dal WEB che ho inserito per dare un caratte più scientifico al mio pensiero.

Bene, credo di avervi detto abbastanza e ora tocca a voi.

Potrete acquistare il libro o l'ebook, secondo le vostre vesigenze.

Buona lettura 

Qui di seguito alcune pagine del libro per farvi un'idea di ciò che contiene

Introduzione

Ho imbastito una storia comune, che racconta le vicissitudini di due ragazzi… si fa per dire,  che s’innamorano, come succede a tanti. Ho cercato di analizzare questa storia, sia dal punto di vista romantico che scientifico.

Ho scelto di parlare di personaggi un po’ “anzianetti”, come dice mio nipote, proprio per far capire che “innamorarsi è possibile, a qualsiasi età”. Non c’è differenza tra l’amore dei quindicenni, dei trentenni dei quarantenni o dei sessantenni, come in questo caso. E noi di Settant’anni allora? Avete ragione anche voi. Diciamo che l’amore non ha età.

Vai! Ci sono cascato. Non volevo scrivere ovvietà e questa è la prima, ma non la cancello. La lascio così come mi è venuta.

Ho scritto all’inizio del libro la frase “Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti, viventi o no, è puramente casuale!”.

Sembra una frase scontata e di quelle che sia le case editrici, sia gli autori inseriscono all’inizio di ogni libro per evitare di incappare in problemi di qualsiasi natura.

In realtà questo libro è proprio solamente il frutto della mia immaginazione, della mia creatività e dei miei pensieri che altro non sono che il contenuto della mia memoria.

Quindi, se varcuno che mi ognosce ben’, leggendo ‘sto libro, ni sembrasse di rionoscisi in quer che scrivo, e piglia ‘na bella ‘antonata, diobono (quindi se qualcuno che mi conosce bene , leggendo il libro, gli sembrasse di riconoscersi in quello che scrivo, si sbaglia, diobono). Bene, ora potete inizia’ a legge’ ‘sto racconto.

OH NINI, VE LO RIDIO UN’ARTRA VORTA, POI ‘UN VE LO DIO PIÙ, ALLORA OGNI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ACCADUTI, VIVENTI O NO, È PURAMENTE CASUALE. PITTA M’INGOLLI!

(O ragazzi,ve lo dico un’altra volta, poi non lo dico più, allora ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti, viventi o no, è puramente casuale Pitta m’ingolli. Pitta m’ingolli è' una specie di giuramento; se non e' vero Pitta m'ingolli. Rafforzativo di quello che si sta affermando. L'origine della parola è incerta, “picta” è voce longobarda che significa “morte”.)

Capitolo 1

PREAMBOLO

NARRATORE

Ciao, sono un uomo di sessant’anni e voglio raccontarvi una storia d’amore meravigliosa e al tempo stesso, incredibile.

Per potervi raccontare questa storia nei minimi particolari, ho bisogno che leggiate queste poche righe, (sono solo quattro paginette, dai), per farvi capire il perché devo utilizzare lo “Strumento Temporale Transitorio” che io chiamo “STT”. E’ uno strumento che ho inventato, per potermi spostare nel tempo. Non ho ancora avuto modo di brevettarlo, perché lo sto testando su di me, adesso.

Dovete sapere che ho avuto l'idea di costruire la “STT” dopo aver letto un articolo, recentemente apparso su internet, che trattava della possibilità di comunicare tra persone, con una cuffia in grado di leggere il pensiero. Non vi voglio tediare con spiegazioni scientifiche, ma questa cuffia esiste veramente.

Torniamo al libro.

Vi domanderete sicuramente perché devo usare una macchina del tempo. Posso raccontarvi tranquillamente, quello che mi ricordo di questa storia, ma non è come essere presente in quel momento lontano, vivere la storia con i personaggi che si raccontano, e che buttano fuori (esprimono le loro emozioni direttamente dal loro io)

le loro emozioni, proprio nell’istante in cui parlano.

Devo tornare in quel preciso intervallo di tempo per vivere la storia, sentirli parlare, gioire e soffrire con loro. Solo così i personaggi coinvolti potranno esistere e raccontare le loro vite, dal vivo e come si dice con un termine televisivo, vivere “in diretta”.   

Dopo questa intuizione ho dovuto riflettere su come costruire la macchina.

Per costruire questa macchina del tempo sono partito da una riflessione.

Mi sono domandato: “Perché in questo momento non posso vedere i dinosauri?”

Prima considerazione che ho fatto è che noi viviamo in un unico e continuo momento presente, “qui e ora”. Cioè, non esiste il passato, se non come vibrazione avvenuta nel passato e un ricordo chimico, impresso nelle cellule del nostro cervello. Non esiste il futuro, perché non si è ancora formato, oppure è meglio dire che quello che la nostra mente percepisce come futuro, è solamente e semplicemente il lento fluire di ciò che il nostro cervello percepisce come momento presente, in un continuo divenire. 

Seconda considerazione che ho fatto, è che se tutto è vibrazione, anche il passato è oscillazione esistita.

Il ricordo mi serve per sintonizzarmi sulla vibrazione avvenuta in quel periodo e la “STT” serve per trasformare questa vibrazione e trasportami nel passato. Per capire meglio vi conviene leggere l’articolo qui sotto.

Comunicazione dello scrittore

Vibrazione primordiale creatrice

“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…” leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni. (…) e ci hanno educato a interpretare il termine Verbo come “parola”, ma altre traduzioni e tradizioni (più antiche e non meno importanti che quella cristiana) ci rivelano che il Verbo usato dall’evangelista Giovanni in realtà coinciderebbe con il Suono, quale strumento capace di mettere in moto e in ordine gli elementi inerti dell’universo e di costruire, con la vibrazione, il Creato.

“La vibrazione primordiale creatrice” trova, peraltro, riscontro in moltissime religioni e antiche civiltà.

Questo che poi ho letto dopo, mi ha lasciato a bocca aperta. Non ne sapevo assolutamente niente di fisica moderna o stringhe vibranti e in questo articolo ho trovato finalmente una descrizione nuova, diversa e scioccante. Sentite a che punto si sono spinti gli scienziati, cioè la scienza moderna.

Anche la fisica moderna, con la teoria delle stringhe vibranti all’origine della materia, non fa altro che allinearsi a questa visione.

Secondo il paradigma del “modello standard”, (…)] la materia è composta di varie particelle, corpuscoli puntiformi indivisibili, come ad esempio i quark, che si combinano in vari modi giungendo a formare protoni, neutroni e l’ampia gamma di particelle e di molecole che costituiscono l’Universo.

La moderna teoria delle stringhe non nega il ruolo essenziale di queste particelle, ma ritiene che esse non siano puntiformi, ma siano costituite da un sottile filamento di energia, centinaia di miliardi di volte più piccolo di un nucleo atomico.Un filamento di energia che è paragonabile a una cordicella, come quella di un violino o di una chitarra, in continua vibrazione. (…)anche i filamenti della teoria delle stringhe possono vibrare in più modi producendo, secondo l’intensità, particelle con massa e proprietà diverse tra di loro.

(…) …la materia come tale non esiste! Tutta la materia non esiste che in virtù di una forza che fa vibrare le particelle e mantiene questo minuscolo sistema solare dell’atomo.

Tratto da Scienza e conoscenza Dario Giardi  – 15/04/2017 

se vuoi leggere l’articolo integrale, vai a questo sito digitando il seguente link: https://www.scienzaeconoscenza.it/blog/scienza_e_fisica_quantistica/la-vibrazione-come-origine-del-tutto

Torniamo al libro.

Il passato è avvenuto e quindi la vibrazione è sussistita. Non possiamo vedere i dinosauri perché in questo momento noi “vibriamo” a una frequenza diversa dalla loro.

E’ come la musica. Ci sono sette note musicali principali, ma le loro combinazioni sono molteplici e danno luogo a infinite possibilità, di creare suoni, che insieme formano melodie, che non sono altro che vibrazioni. Noi le percepiamo a causa delle onde sonore generate da tali vibrazioni, sono percepite dai nostri orecchi, come spostamento d’aria, e il nostro cervello poi, le elabora, ma sempre vibrazioni sono.

La vibrazione in cui siamo immersi, è percepita dai nostri sensi e il cervello le decodifica facendoci credere che, questa vibrazione, sia la realtà, cioè ciò che stiamo vivendo. 

Mi sono detto: “Se riesco a creare una macchina elettronica, mettendo insieme un caschetto per leggere nella mente e un hardware e un software per modificare le vibrazioni del presente, posso costruire una macchina capace di farmi spostare nel passato, cambiando semplicemente la frequenza vibrazionale del presente e ricreando quella del passato”.

Detto fatto, mi sono messo al lavoro ed ho inventato la “STT” e cioè lo “Strumento Temporale Transitorio”.

Con la “STT” posso tornare nel passato, e raccontare questa storia, direttamente nell’epoca in cui mi trovo, con i veri dialoghi, le emozioni reali delle persone coinvolte, per scoprire come interagiscono fra loro, ascoltando le loro conversazioni.

Poi, grazie al caschetto, sono riuscito a creare unʼinterfaccia cervello-computer, e con il programma di mia invenzione, sono riuscito a modificare le vibrazioni attuali del “qui e ora”, cioè di questo istante.

Con l’impulso del mio cervello sono riuscito a modificare la vibrazione universale creatrice, cioè i filamenti della teoria delle stringhe che possono vibrare in più modi producendo, secondo l’intensità, particelle con massa e proprietà diverse tra di loro. Così ora, posso spostarmi nel passato, dove voglio, intercettando quel tipo di vibrazione e frequenza esatte che sono memorizzate nel mio cervello, e poi ritornare al presente, quando lo desidero, ricreando le vibrazioni che mi ricordo, del presente.

Grazie a questa sofisticata apparecchiatura, posso essere catapultato nel passato e rivivere l’esperienza come realtà.

Questo, pressappoco, è quello che devo riuscire a fare con la “STT”.

 Ecco, alla fine del viaggio, ritorno al momento attuale grazie alle vibrazioni della mia mente, pensando semplicemente al presente...

Per farvi comprendere meglio ciò che avviene in quel preciso istante, , scrivo NARRATORE e così capite che sto parlando io.

Quando scrivo altri nomi, comprendete quale personaggio sta interagendo e racconta la sua storia nel suo presente, “in diretta”.                                        Quando ho bisogno di spiegarvi alcune cose tecniche o comunicarvi cose personali, scrivo Comunicazione dello scrittore, così che non ci sono dubbi o fraintendimenti nella ricostruzione della storia.

Un problema di questa “STT” è che non posso ancora stabilire la data e l’ora precisa in cui fare il salto nel passato. Posso solo pensare intensamente al momento del passato che m’interessa ricordare. 

Devo tornare indietro alcuni anni nella mia mente, per pormi nel periodo dell’inizio di quest’avventura. Comunque all’incirca, è così che funziona la macchina. Scusate per questa lunga e forse noiosa descrizione, ma era necessaria. 

Ora mi devo preparare, per la partenza, per il ritorno al passato.

Capitolo 2

Ecco, mi sto preparando per la partenza, per il salto nel passato.

Lo devo fare con estrema precisione, affinché questo viaggio, possa fornirmi tutti i particolari necessari per essere il più preciso possibile.

Prima di tutto devo controllare, in maniera meticolosa, il mio ricordo, altrimenti rischio di essere catapultato, a causa della mia mente, chissà dove nel passato.

In secondo luogo devo controllare che tutti i cavi della macchina, siano stati inseriti al loro posto e che i connettori siano nei loro alloggiamenti. Devo ispezionare i sensori del “caschetto” o cuffia hi teck, che devono essere perfettamente funzionanti e collegati al computer, al registratore, per una successiva decodifica ed elaborazione di tutti i dati acquisiti. Ecco, ora indosso il “caschetto” con le luci infrarosse che devo porre perfettamente sulla mia testa, nel punto esatto. 

Bene, è tutto pronto, non mi resta che sdraiarmi sul lettino nel mio laboratorio, distendermi, rilassarmi e pensare intensamente al ricordo più vivido che riesco a recuperare nella mia mente e del periodo temporale che voglio ricordare.

Per il resto, pensa a tutto la “STT”, che è ormai pronta per produrre il salto temporale: clicco sul pulsante INVIO e inizio mentalmente, il conto alla rovescia. Cinque... quattro... tre... due... uno... sento la macchina che inizia a emettere dei suoni strani, sento addirittura un rumore nella mia testa, che assomiglia moltissimo a una sirena in lontananza, poi dei… bip bip bip biiiip…

NARRATORE

Devo essere decollato veramente per il passato, perché avverto uno strano ronzio nella mia testa, una vibrazione che assomiglia molto a un bisbiglio di voci intorno a me. Vedo una luce blu intermittente. Percepisco una strana sensazione, di calore nel mio corpo, ma nello stesso tempo avverto intensi brividi di freddo. Il mio cervello si sta scaldando, mi sento sballottato di qua e di là e mi gira la testa, ed io mi sento molto sonno... molto.

Ho la sensazione di aver la testa calda e un po' confusa. Sì, deve essere la macchina del tempo che produce questi effetti collaterali nel mio cervello. Purtroppo, nel momento del salto spazio temporale, il “caschetto” emette molto calore sulle cellule cerebrali e deve provocare uno strano sfasamento. Devo perfezionarla.

Una donna accanto a me, tiene la mia mano tra le sue e dice sommessamente: «Io mi comincio a preoccupa’, sei tutto caldo e sudato. Vado a prende’ uno straccio bagnato e te lo metto sulla fronte. Ei ma c’hai la testa bollente, hai la febbre alta, porca miseria, cosa faccio ora? Ma che fai, ti addormenti di nuovo, svegliati!»

  «Ei, mi senti? come stai? Cosa ti senti?»

Mi sto riprendendo a fatica, come un ubriaco dopo una sbornia. Mi guardo intorno e vedo tutto come nebuloso, faccio fatica a mettere a fuoco con gli occhi, vedo una donna e cerco di articolare le parole, ma non ci riesco bene. Riesco solo a dire:

«Tutto bene, grazie. Forse è un calo di zuccheri. Sto bene... sto bene davvero... grazie», dice il Narratore appena arrivato nel passato e riconosciuto come un allievo del Dojo.

«C'hai fatto prende’ un bello spavento», dice un allievo.

«Ti ricordi quello che stavamo dicendo?» Sussurra il Maestro.

Guardo il Maestro con il suo kimono bianco, una bellissima barba brizzolata, capelli bianchi, come un vecchio samurai e sento che mi tasta il polso come fanno i maestri cinesi, che conoscono la Medicina Tradizionale Cinese.

Prima guardo tutti i miei amici, vestiti con il loro kimono bianchi, che sono tutti intorno a me e poi, guardo il Sensei e, un po' basito gli rispondo:

«Sì, mi sembra che stai parlando della mia salute… no, aspetta, della mia forma … no della Forma del Tai chi», farfuglio sbiascicando (parlando male come farebbe un ubriaco ) le parole.

«Si, del Tai chi juan (arte marziale morbida, nata in Cina, che assomiglia a una ginnastica lenta, in cui sono eseguiti gesti e spostamenti del peso del corpo, molto lentamente;si pronuncia “tai ci”). Va beh, ricominciamo», dice il Maestro.

Torniamo al libro

  «Ei, ce la fai ad alzarti? Dai, bevi un po’ d’acqua, così ti riprendi, sei tutto sudato», dice il Maestro, rivolto a me.

  «Ci sono... ci sono... Maestro, seguo... seguo... ora mi concentro e seguo i movimenti. E’ stato un lieve malore, ma mi sono già ripreso, grazie», ho molta sete e bevo molta acqua, come se fossi stato nel deserto.

«Ecco, mi sento già molto meglio», continuo a farfugliare tra me e me, mentre il Maestro sta spiegando la lezione, agli allievi intorno a lui.

Torniamo al libro

NARRATORE

Seguo la lezione di Tai chi Juan, con un po’ di fatica. Il salto nel passato è riuscito, ma sono molto provato dallo sfasamento spazio temporale. Sicuramente ho quasi dieci anni di meno, ma non ne sono sicuro. Mi hanno riconosciuto come l’allievo di allora… cioè di ora. Alla fine della lezione mi siedo sullo sgabello basso da meditazione e mentre guardo attorno, vedo gli allievi che parlottano tra di loro e con il Maestro. Forse parlano di me? Del mio malore? Cerco di ricordare più cose possibili della situazione in cui mi trovo, quando a un tratto la mia attenzione è catturata da un ragazzo; direi un uomo. Con la coda dell’occhio, intravedo che si dirige verso una parete dove sono esposte tante fotografie di allievi degli anni precedenti, tutti in kimono bianco. Le guarda in modo distratto, poi tutto ad un tratto, si dirige speditamente verso una fotografia un po' ingiallita dal tempo. Ei, sì, mi sembra… ma sì è Ernesto.

IL NARRATORE  INCONTRA ERNESTO AL DOJO PER LA PRIMA VOLTA

ERNESTO PENSA TRA SE E SE

Ho finito or ora la lezione di Tai chi e prima di andare a cambiarmi nello spogliatoio, voglio vedere quelle foto attaccate al muro. Sono incuriosito dalla loro presenza silenziosa, ma non mi sono mai fermato a guardarle in tutti questi anni, perché sono sempre stato in ritardo e non ho mai avuto il tempo materiale di accostarmi a loro e guardarle. Oggi, che ho un po’ di tempo a disposizione le voglio proprio vedere e dargli un’occhiata, da vicino.

Le guardo tutte in modo distratto, ma ad un tratto, una foto, con la cornice un po’ storta, appesa al muro un po' scrostato della palestra, attrae la mia attenzione. Ah già, non è una palestra ma è un Dojo (Dojo è un termine giapponese che indica il luogo dove si svolgono gli allenamenti alle arti marziali). Se mi sente il Sensei chiamare il suo Dojo palestra, mi attacca un bottone (inizia un discorso così lungo, che non finisce più, come una filippica. Il termine filippica, significa lungo discorso, derivato dal nome delle “filippiche che erano orazioni che l’Ateniese Demostene  pronunciò contro il re di Macedonia Filippo II tra il 351 e 340 a.) che non finisce più. “Questa non è una palestra, bla bla bla… questo è un Dojo, bla bla bla… è un luogo sacro… bla bla bla… e così via”.

Ora dovete sapere che in questo Dojo, insegnano varie tecniche di arti marziali, di origine Cinese e Giapponese.

Ecco, nella foto, vedo un gruppo di ragazzi e ragazze con il kimono bianco, una fila in piedi e gli altri sotto in seizà (termine cinese per indicare la postura del mettersi in ginocchio), sì insomma, in ginocchio. Sì, in giapponese, quando ci si mette in ginocchio si dice “seizà” e come si scrive si pronuncia. Sono tutti attaccati tra loro come acciughe, come se non riuscissero a entrare nella foto. Sono tutti uguali per me, ma, in fondo alla foto, in basso a sinistra, attrae la mia attenzione un Puntino Nero, … in seizà.

Mi avvicino, fisso bene la foto, mi concentro sul Puntino Nero e mi rendo conto che il “Puntino Nero” è una ragazza. Il Puntino Nero ha una chioma di capelli neri ricci, con dentro un visino carino, sottile,

sorridente, incorniciato, come da una criniera di leone.  Un leone nero.

«Oh Ernesto, sei sicuro di stare bene oggi?» Sento dire alle mie spalle. È il Sensei che si è avvicinato silenziosamente. Quando si muove, sembra un gatto, tanto è silenzioso e sembra avere i piedi felpati.

«Sì, sì, sto bene Sensei grazie», rispondo e subito dopo, indicando con il dito indice la foto, replico:

«Sensei, chi è questo Puntino Nero, cioè, questa ragazza?»

«Chi?» Mi risponde, ed io picchiettando con il dito sul vetro in corrispondenza del Puntino Nero dico:

«Questa ragazza… questa qui!»

«Questa?» Domanda a sua volta.

«Sì Sensei, questa, questa qui», e con il dito picchietto nervosamente sul vetro della foto, tanto forte che il quadretto inizia a muoversi, a oscillare paurosamente, che sembra cadere a terra, da un momento all’altro.

«Ehi, stai attento che lo fai cadere», risponde il Sensei, che con uno scatto felino del braccio, blocca la foto. Poi avvicinandosi sempre di più, quasi con il naso appiccicato al vetro, esclama: «Certo che oggi sei proprio strano Ernesto, fammi vedere un po’? Ah sì, sì, questa? E’ Beatrice, è Rosa! …»

«Rosa? Sensei, ma anche te non scherzi oggi. Ma che rosa, ha il kimono bianco come gli altri, altro che rosa, è bianco!» Il  Sensei si gira verso di me, mi guarda negli occhi, prima in uno poi nell'altro, mi prende il polso e inizia a tastarlo. Mentre mi fissa, mi dice molto lentamente:

«Ho detto che si chiama Beatrice e Rosa è il soprannome che le ho dato io, perché ha la pelle liscia e fresca come una rosa. È una ragazza che frequenta il Dojo da qualche anno e ha ricevuto l’attestato di frequenza del terzo anno. Ora vai a casa e fai meditazione stasera. La prossima lezione giungi mezz'ora prima che ti faccio un po' di agopuntura, va bene?»

«Si va bene Sensei, grazie, alla prossima».

Torniamo al libro.

 

 

 

Capitolo 3

NARRATORE – Ora vi devo presentare Ernesto.

Ernesto, esce dal Dojo e si dirige verso la sua casa. Vive da solo, è single da diverso tempo ed è fondamentalmente sereno e positivo.

Vediamo cosa succede.

ERNESTO “IN DIRETTA”

Arrivo a casa sbagliando la strada, un paio di volte, da quanto sono stanco.”Quasi quasi mi faccio una doccia, bella calda” penso tra me e me. Vado in bagno, apro il rubinetto dell’acqua calda della doccia, mi spoglio e, quando vedo uscire il fumo del vapore acqueo dal box della doccia, apro lo sportello e sparisco nella nebbia. Sotto l’acqua calda, sento lentamente che il mio corpo si rilassa e la mia mente, finalmente, si abbandona al presente, al “qui e ora”.

    Esco dalla doccia, m’infilo (indosso) l’accappatoio con un gesto meccanico, ma nella mia mente c’è sempre il Puntino Nero. Mi succede come quando una volta da ragazzetto, fissai il sole. Quando chiusi gli occhi mi apparve nella mente un disco bianco che non andava più via. Aprivo gli occhi, li richiudevo e il disco bianco era sempre lì. Impresso nella retina del mio occhio e solo la mente lo vedeva. Mi raccomando non fate la cavolata a  biscaro sciorto che feci allora (non fate l’errore che commisi a quell’epoca senza riflettere su ciò che facevo;ero proprio uno sprovveduto e impreparato ). Non fissate mai il sole senza apparecchi di protezione perché potrebbe essere veramente pericoloso. Potreste riportare danni anche irreversibili alla retina. Và beh, dopo questa raccomandazione per un falla troppo palloccorosa (per non tirarla troppo alle lunghe, farla cascare dall'alto), continuo con la storia.

 “Beatrice. Perché mi ha colpito così tanto? Nemmeno la conosco sta’ Beatrice. Poi che soprannome le ha dato il Sensei? Ah sì, Rosa. Come un fiore e un colore. Perché ha la pelle liscia e fresca come una rosa, ha detto”. Parlotto tra me e me (parlo a voce bassa da solo) uscito dalla doccia.

Mi asciugo il corpo massaggiandomi energicamente con l’accappatoio, mi strofino i capelli con la testa infilata nel cappuccio e poi con i capelli tutti arruffati, come un gatto che ha visto un cane, inizio a pettinarli e li asciugo con il fon. Mi vesto mettendomi una tuta pulita color grigio chiaro, larga e comoda, e decido di preparare la mia cena. In verità, non ho molta voglia di cucinare, per cui preferisco optare per un bel panino al prosciutto e una birra fredda. Apro il frigorifero, prendo il cartoccio del prosciutto, taglio in due un panino ancora croccante con il coltello seghettato, lo farcisco con due belle fette di prosciutto e quando sento il profumo penetrare nelle mie narici, le ghiandole salivari si mettono in funzione. Se mi vedesse il Sensei, mi scomunicherebbe. Lui è per i cibi salutari e macrobiotici, ma a me non piacciono molto.

Cibi salutari sì, ma ogni tanto mi piace anche trasgredire e far godere le mie papille gustative.

Decido di mangiarmi il panino sul divano e bere la birra rigorosamente dalla bottiglia. Stappo la bottiglia di birra e a momenti la schiuma mi fa la seconda doccia.  Mi lascio cadere sul divano, accendo la televisione e con il telecomando, imposto un programma ameno, tanto per rilassarmi.

Chiudo gli occhi e cullato dal suono della televisione, abbassata al minimo, inizio a pensare alla mia situazione di single.

Penso che passo inconsapevolmente, gran parte della mia vita a cercare la mia dolce metà con cui condividerla, senza capire che quella più gustosa, è la metà che ho dentro di me. Mi viene da ridere e sobbalzo impercettibilmente. Solo Pumina se ne accorge, gira gli orecchi a destra e a sinistra, apre gli occhi sonnacchiosi, mi guarda, mi fissa per un po’ e continuando a girare gli orecchi a sinistra e a destra, li richiude e continua a dormire.

Benché la natura umana sia strana e mi porti spesso a cercare ciò di cui ho bisogno al di fuori di me, tutto quello che mi serve, “secondo quanto dice il Sensei”, è già dentro di me, nella mia isola, quella felice, quella in cui ogni tanto ho bisogno di rifugiarmi almeno per un po’. Dice il Sensei che questo è quello che realizziamo quando facciamo la meditazione. E’ dentro di me, ma semplicemente non ne sono consapevole e per questo continuo, incessantemente, a cercare all’esterno.

Continuo a pensare e appare nella mia mente l’idea che, restando solo, senza una donna, posso ascoltare perfettamente, quella voce. il mio Io interiore.

Sì, ma quale Io? Ho visto un filmato sul Web che spiega l’esistenza di diversi Io dentro di me. Questi Io sono il frutto di antichi eventi che mi sono accaduti nel passato, addirittura quando ero nella culla, ma di cui non ricordo niente e che si attivano inconsciamente e oscillano costantemente durante la giornata. Per questo motivo in un dato momento mi sento in un modo e reagisco agli eventi in quel preciso istante, perché l’Io che è sollecitato, mi fa agire e dire quelle cose. In un altro momento accade qualcos’altro e il mio Io associato a quella sensazione mi fa comportare in un altro modo e così via. E’ davvero incredibile, come è complicata la mia mente.

Il Sensei dice che la mia mente è inquinata da tantissime esperienze avvenute addirittura da quando ero nella culla in poi, dai genitori, dalla scuola, dalla società, e ogni informazione ricevuta, buona o cattiva che sia, si mette automaticamente in funzione e mi fa reagire in un modo particolare, in quel dato ambiente. Tutti questi Io vanno a formare quella cosa che si chiama Ego.

  «Semplicemente non ne sei consapevole Ernesto», mi risponde il Sensei, quando gli parlo dei miei sbalzi d’umore e dei miei Io che bisticciano tra di loro nella mia mente.

Ecco perché molte volte preferisco rimanere nel mio bozzolo di solitudine che conosco molto bene, piuttosto che affrontare un cambiamento che non so dove mi conduce. Anche se il momento che vivo, magari mi fa soffrire.

Ora che ho capito queste cose, posso finalmente stare ad ascoltare e a volte a chiacchierare con lei, la mia solitudine.

Ecco perché mi piace, essere single.

Infatti, questa mia solitudine ora come ora, è la mia migliore compagna.

Finalmente mi sento libero dalle briglie imposte da un rapporto di coppia.

Respiro a pieni polmoni, quel senso d’infinito, che riesce a darmi uno spiraglio di libertà.

Sembrerebbe scientificamente provato poi, che la “mens sana (“Mens sana in corpore sano” ("una mente sana in un corpo sano") è una locuzione latina tratta da Giovenale (Satire, X, 356): (…) La satira decima di Giovenale è tutta volta a mostrare la vanità dei valori o dei beni (come ricchezza, fama e onore) che gli uomini cercano con ogni mezzo di ottenere. (…) Solo il sapiente vero si rende conto che tutto ciò è effimero è talvolta anche dannoso. Nell'intenzione del poeta, l'uomo dovrebbe aspirare a due beni soltanto: la sanità dell'anima e la salute del corpo; queste dovrebbero essere le uniche richieste da rivolgere alla divinità che, sottolinea il poeta, sa di cosa l'uomo ha bisogno più dell'uomo stesso)  abita più nel “corpo sano” di chi è single, che di chi è accompagnato. Scherzi a parte, ma chi è sposato e ha figli al seguito, non può quasi mai dirsi rilassato completamente.

La sua mente non è mai sgombra da pensieri ansiosi, perché le sue responsabilità sono maggiori delle mie in questo momento, sia quelle nei confronti del coniuge, sia, soprattutto, quelle verso i figli.

Chi non ha dolci metà che gli rubano le coperte di notte, né dolci pargoletti che gli rubano il sonno, può godersi, di certo, uno spirito ben più leggero, e un sonno nettamente più profondo.

Il bello della singletudine, come la chiamo io, e che questa non prevede nessun regolamento.

Per esempio, sono single e posso fare tutto quello che mi passa per la testa, in qualsiasi momento.

Per esempio, mi viene in mente che posso viaggiare da solo, andare nel posto che più mi piace, al mare o in montagna, senza dover scegliere la mèta con la mia dolce metà. Scusate il pasticcio di parole.

Anche a questo pensiero, non so se per la rima, ma mi viene da ridere un’altra volta, a occhi chiusi e sobbalzo impercettibilmente. Solo Pumina se ne accorge, gira gli orecchi a destra e a sinistra, e questa volta non apre nemmeno gli occhi. Continua a ronfare.

Una delle altre esperienze molto benefiche per me è quella di andare al cinema o, in generale, guardare un film da solo. Posso assaporare l’intera avventura sullo schermo del cinema o della tivvù senza che qualcuno di fianco, continui a rilevarne pregi e difetti di quello che sta accadendo nel film. E soprattutto senza che, a un certo punto, mi senta porre la tipica domanda, del partner poco attento quando, dopo almeno sessanta minuti di film, quasi alla fine, vede sullo schermo il protagonista principale in primo piano e mi chiede:

  «E quello lì chi è?»

Sobbalzo ancora dal ridere. Sono risate interne, e sento che anche i bordi delle labbra mi si sollevano impercettibilmente, come in un sorriso beffardo.

Ma la cosa più bella e quella di non dovermi giustificare. Una delle pratiche più snervanti dei compagni, fidanzati o sposati è quella della continua giustificazione. Una vera corsa a ostacoli di multi giustificazioni che a volte si tramutano (si trasformano)  addirittura nelle maratone del “Ora, ti spiego”.

Io da single, invece, posso godermi questo spettacolo, guardando queste coppie, e per me è spassosissimo.

Oppure, i classici messaggi “letti per caso” sul cellulare. Questi sono veramente l’apoteosi dell’ipocrisia. Ma come fai a dire all’altra o all’altro:

  «Scusa cara o caro, ma per “sbaglio” ho cliccato l’icona dei messaggi e mi “è caduto l’occhio” su questo! Di chi è? Che significa?» E allora iniziano le migliori performance del contorsionista di bufale, per spiegare, magari, un innocente messaggio scambiato con un’amica o con un amico, ma con un contenuto un po’ piccante, tanto per scherzare, così per celia, per divertimento. E tu magari le dici:

  «Tesoro, ma è una celia!» Ora cerca di spiegarlo tu all’altra o all’atro che è una celia! Minimo non sa nemmeno cos’è una celia per cui la può scambiare per il nome di un’altra persona e pensare a chissà cosa. No, no meglio di no. Troppa fatica. E poi cosa c’è da spiegare? Quando siamo accoppiati, sembra che da quel momento in poi non esista più l’essere come individuo, ma diventi automaticamente un tutt’uno con l’altro una specie di corpo unico, mente unica, senza più spazi personali.

E poi puoi tenere l’ordine o il disordine che vuoi. Ordine maniacale o disordine pazzesco, ordine perfetto o stile bazar; chi vive da solo può scegliere come meglio crede e farlo. 

Ogni tanto penso che essendo single posso essere il detentore della chiave della mia felicità. Sono single per scelta, mica perché sono stato mollato. Ho avuto delle storie sentimentali, ma poi, semplicemente, ho scelto, anzi no, abbiamo scelto di chiuedrele e quindi ho deciso di restarmene da solo e tranquillo. Certo che conosco un mio amico che è solo per scelta, ma non sua, ma per scelta delle donne, come dice lui. Ecco, lui è un single che soffre la sua condizione. Ne soffre a tal punto che alle volte cerca di incontrare e conoscere le donne, in modi piuttosto banali e sovente, pure ridicoli. Il bello è che lui non se ne rende nemmeno conto, ma le donne sì. Poi dice: «Ma come sono stronze,( cattive)  nessuna mi vuole!»

C’è da dire che il mio amico è stato lasciato e quindi non è stata una sua scelta, ma appunto la scelta di un’altra.

Capisco lo strazio che ha provato in quel momento, ma non capisco gli uomini che fanno pazzie pur di restare insieme alla loro ex. Questo per me è assurdo.

Io in quella situazione invece ci vedo la fortuna sfacciata di essere stato lasciato da una donna che non lo amava più, mentre lui continua a lamentarsi. 

  «Ma che senso ha?» Gli dico alle volte. «’Un ti poteva ‘apita’ ‘na fortuna più grande nella tu vita. Ma un ti rendi ‘onto e cche t’ ha fatto un regalo bellissimo, il più grande che vella donna lì ti poteva fa’? Ti ha lasciato solo! Cioè libero».

  «Ma tu sei pazzo!», gli dico, «ma perché continui a farti del male? Ma ‘un lo vedi che ‘un t’ ama da ‘na sega (ma non vedi che lei non ti ama più) ? Arrenditi all’evidenza. Guarda la fortuna che hai. Potresti incontra’ la donna che veramente ti potrebbe rende’ felice, vella giusta diobono, ma ‘un la voi intende e? maremma come sei duro! O ‘’un lo ‘apisci prorpio

Sembra di no, perché a quel punto inizia a sciorinare tutta una sequenza di cose assurde, e a quel punto mi arrendo e chiudo la trasmissione e lo lascio vomitare tutte le sue angosce, le sue sofferenze, le sue insicurezze.A me dispiace per lui, cerco di fargli vedere il lato positivo della situazione, ma lui non ne vuol sapere.

Io in questo momento sono un uomo felice e me ne rendo conto.

Siamo tutti persuasi che la perfezione arrivi con una donna e senza la donna al suo fianco un uomo sia infelice.

Può essere vero, ma c’è un piccolo ma. Quella donna deve essere una donna intelligente e non deve farti soffrire, ma deve amarti. Allora si che, forse, sarei disposto a lasciare la mia condizione di singletudine (termine che mi sono inventato, che spiega il modo di vivere di un single).

Ora non è il mio caso.

Apro gli occhi, sento il ronfo di Pumina che mi tiene compagnia e le dico:

  «Dai vieni qua che ti do una grattatina.»

Allungo la mano verso la sua testa, inizio a muovere le dita fra le sue orecchie che da tese lentamente si abbassano e sento aumentare il ronfìo (fare le fusa)

Si è calmata. Ora mi voglio divertì a falla allecorire  (Adescare bonariamente; suscitare desideri) col prosciutto. Le allungo un pezzettino di pane con il prosciutto, che avidamente addenta e sgranocchia, facendo le fusa sulla coperta che copre il divano. Siamo veramente amici. Veramente sembra più interessata al mio panino al prosciutto che a me. Va beh! Le stacco un altro pezzetto di prosciutto e, questa volta, decido di giocarci un po’. Passo davanti al suo naso il boccone con il prosciutto e poi alzo il braccio di scatto verso l’alto. Lei lo guarda, mi guarda e allungandosi tutta, tenta di arrampicarsi sul mio braccio, prova ad afferrare il bocconcino prelibato con una serie di zampate andate a vuoto. Dopo una lotta tra lei e il mio braccio, Pumina, un po’ spazientita, riesce ad afferrare la mia mano con le sue unghie affilate e c’è mancato un pelo ( c'e' mancato poco ) che non mi abbia sgraffiato con gli artigli affilati come rasoi. Capisco che è arrivato il momento di cedere e lei riesce a conquistare il suo bottino che, intrappolato tra i suoi artigli, si porta avidamente verso la bocca e inizia ad addentare e sgranocchiare con gusto.

Dopo il nostro lauto pasto ci spaparanziamo  (sdraiarsi comodamente su qualcosa come un divano. Non è lucchese, ma noi ogni tanto la usiamo) sul divano e mentre io continuo a guardare l’ameno programma senza nessun interesse, lei si acciambella accanto a me e continua il suo ronfìo, piuttosto sonoro. Senza accorgermene, mi sento acciocchito  (mi sento stanco) e gli occhi mi si accallano  (chiudono dalla sonnolenza, dalla stanchezza) lentamente e mi appisolo leggermente, cullato dal ronfìo di Pumina.

Improvvisamente il “Puntino Nero” riappare nella mia mente. Vedo che aumenta sempre più di grandezza, come se zoomassi con una macchina fotografica.  Ecco, ora è abbastanza grande davanti a me. Sempre a occhi chiusi, tento di mettere a fuoco i vari particolari del viso che sono rimasti impressi nella mia mente, guardando la fotografia al Dojo. Vedo quei capelli neri riccioluti, riesco a distinguere due occhi neri con un taglio particolare, noto che le sopracciglia sono come disegnate con una matita, tanto sono precise e fini; vedo che sta prendendo forma un naso gentile e poi rimango colpito dalle sue labbra. Non sono eccessivamente carnose, ma hanno un bellissimo taglio. Ecco che tra le labbra si forma un sorriso. E’ un sorriso un po’ enigmatico, ma la sensazione che provoca in me è leggermente intrigante. “Cavolo com’è bella  (espressione di stupore per la sua bellezza).”

Penso nella mia mente. “La devo conoscere”.

Però mi conosco. Non sono disposto a uscire con chicchessia solo per non essere single, perciò preferisco passare il tempo con me stesso anziché stare con qualcuno per evitare la solitudine. E poi, sono diventato bravo a vivere da solo. Vivo per conto mio da tanti anni e la mia vita è piena di cose appaganti che

non includono le donne. Qualche volta, però, non lo nego, quando si avvicina il weekend, mi sento un po’ solo, perché non ho impegni che mi tengono occupato. In questo momento sento una strana nostalgia e la sensazione di solitudine aumenta. Penso però che sia solo una sensazione di bisogno e non di volermi innamorare. Una sensazione di avere bisogno di avere una donna accanto a me, con cui condividere la colazione, il sabato e la domenica mattina. È in piccoli momenti del genere che mi capita d'intristirmi un po' per la mancanza di una compagna, ma poi mi riprendo molto rapidamente.

Certo che se potessi conoscere questo Puntino Nero forse potrebbe farmi cambiare idea. Chissà.

 

ERNESTO IL GIORNO DOPO AL DOJO

«Sensei… Sensei… sono arrivato un po’ prima come mi hai chiesto la scorsa lezione. Mi metti due aghi?»

«Sì, … se vuoi …, però mi sembra che tu stia già meglio dell’altra lezione Ernesto. Vai nella stanza dei massaggi e spogliati, arrivo subito.»

Entro prima nello spogliatoio, mi cambio e mi metto il kimono nero da Tai chi e le pantofole nere cinesi. Entro nella stanza dei massaggi e il profumo che colpisce le mie narici è favoloso. Non so come poterlo spiegare, ma è un misto di profumo d’incenso, legno di sandalo con qualche nota di Jasmine e il fumo dei bastoncini dell’Artemisia che il Sensei utilizza per fare la Moxa, quando esegue i massaggi Shatzu. Mi tolgo il kimono e rimango in mutande; mi distendo sul futon bianco e inizio a rilassarmi con la respirazione addominale.

Il futon è un materasso di cotone e significa proprio "materasso arrotolato". È il materasso tradizionale

giapponese; la differenza dai nostri è che è interamente in cotone, rigido, sottile e arrotolabile. È formato da diverse falde di cotone rivestite con una fodera trapuntata a mano e può avere vari spessori: quello del Sensei è proprio giapponese e ha uno spessore di circa 6/7 centimetri a una piazza e mezzo, per poterci lavorare in seizà. Mentre sono disteso in meditazione, sento che la porta si apre e si richiude senza fare rumore. Sento la presenza del Sensei che si pone in seizà vicino al mio corpo; sento che prende il mio polso, lo tasta più e più volte, cambiando velocemente posizione alle sue dita. Sento che si allontana da me, armeggia con qualcosa di metallico e subito dopo inizio a percepire i piccoli aghi penetrare nella mia pelle, ma senza provocare dolore, solo un leggero pizzicottino (sensazione di un leggero pizzico).

 Non come gli aghi della siringa che usano i medici o gli infermieri, per capirsi, una sensazione molto più delicata.

«Rimani così, rilassato e aspetta il mio ritorno», sussurra il Sensei al mio orecchio. Sento che si alza e richiude la porta silenziosamente.

Dopo qualche minuto, ma non so con precisione quanti, perché nel frattempo, ho raggiunto una meditazione abbastanza profonda e il tempo per me si è fermato, a un tratto percepisco la presenza del Sensei che con molta velocità estrae i piccoli aghi che sento distaccarsi dalla mia pelle e mi sussurra:

 «Ora, lentamente torna al presente, ti aspettiamo di là. Stiamo per iniziare la Forma.»

Dopo qualche secondo, apro gli occhi lentamente e nella stanza non vedo nessuno. Mi vesto con il kimono e con calma e con grande serenità interiore, esco dalla

stanza dei massaggi e mi avvio alla stanza adibita al Tai chi.

Entro nella stanza, saluto i miei amici con un cenno del capo e un piccolo inchino e in religioso silenzio, per non disturbare, mi dispongo in fondo alla sala, dove ci sono gli allievi, già disposti su varie file. 

Dopo qualche secondo di concentrazione, il Sensei dà inizio alla Forma e noi all’unisono, in silenzio, seguiamo ed eseguiamo le sequenze di movimenti; questa volta riesco a fare tutta la forma senza sbagliare.

Alla fine della lezione mi avvicino al Sensei e gli dico:

«Grazie Sensei, oggi sto molto meglio e sono riuscito a fare tutta la Forma senza sbagliare i movimenti.»

«Sì ho visto; eri molto concentrato e pieno di energia. Eri presente qui e ora, per questo la Forma è venuta bene. Ricordati di proseguire così», mi risponde il Sensei.

Ma come ha fatto a vedemmi se ero in fondo alla sala e ppoi c’erano anco gli altri allievi davanti a me? Il Sensei è fatto ‘osì. Ci vede tutti, anche se ‘un ci guarda uno a uno. Come fa ‘un me lo so spiega’:

«Sensei, se posso, volevo chiedetti ‘na ‘osa

«Dimmi Ernesto, cosa c’è che ti turba? Forse un puntino nero?» Mi risponde il Sensei.

Io rimango sbigottito, perché non gli ho ancora chiesto niente e lui sa già che cosa voglio domandargli e, fissandomi negli occhi, continua dicendo:

«No. Non sono un mago né tanto meno un veggente. Stai tranquillo. Solamente ti ho visto veramente strano all’ultima lezione e parlasti tempo fa di un puntino nero. Vero?» 

Continua con quella sua calma imperturbabile. Penso per qualche secondo e poi decido di chiederglielo:

 «Sì Sensei, c’è un “Puntino Nero” che mi turba», e lui mi chiede:

 «Ma quando lo vedi precisamente questo puntino nero? Quando chiudi gli occhi oppure anche a occhi aperti? Perché sai, cambia la cosa. Si può trattare di un colpo che hai ricevuto durante un combattimento, oppure in seguito ad una caduta che non hai ammortizzato bene. Capito? E poi hai dei dolori articolari? Se ce l’hai (se senti questi dolori), dove sono localizzati? A me non sembra che tu abbia grossi problemi. L’energia scorre in te fluida e non ci sono blocchi energetici», lo guardo stupito e realizzo che non ha capito niente.

«No Sensei, non si tratta di un puntino nero che vedo nella mia mente, ma del “Puntino Nero” della fotografia. Ti ricordi la fotografia, Sensei?»

Ora è lui a guardarmi stupito e dice, con una diversa intonazione della voce: «Ernesto, io non ti capisco. Spiegami bene perché mi stai facendo preoccupare. Oh che storia è mai questa? Ma che fotografia? Ma soprattutto di che puntino nero parli?»

 Il suo tono era diventato preoccupato veramente.

«Sensei stai tranquillo, ora ti spiego tutto. L’altra volta a fine lezione, la mia attenzione fu catturata da una fotografia appesa al muro, te la ricordi? In quella foto c’erano un gruppo di ragazzi e ragazze con il kimono bianco, qualcuno in piedi e qualcuno in seizà. Nella foto, in fondo a sinistra, la mia attenzione è stata attratta da un “Puntino Nero” in seizà. Ti ricordi che ti chiesi chi era quella ragazza in seizà? Mi dicesti che si chiamava Beatrice. Mi dicesti anche che la chiamavi Rosa perché aveva la pelle liscia e fresca come una rosa. Mi ripetesti che frequentava il Dojo da qualche anno e aveva ricevuto l’attestato di frequenza del terzo anno. Ti ricordi?»

 Il Sensei mi guarda e il suo sguardo cambia da preoccupato a basito:

  «Oddio Ernesto. Ma è una questione di donne. Mi hai fatto prendere un accidente (mi hai messo paura)

 e sai che è difficile che qualcuno mi faccia questo effetto. Credevo che tu avessi ricevuto un brutto colpo in testa durante un allenamento. Ernesto, ma ti sei innamorato?»

Lo sguardo da basito si trasforma ancora e diventa stralunato.

  «No Sensei, ma che innamorato. Ho notato quella foto, ho visto quella ragazza e volevo sape’, sì, insomma, se c’è la possibilità che ritorni qui al Dojo», il Sensei mi fissa e riappropriatosi della sua calma mi risponde:

  «Ernesto, hai già una certa età, hai cinquant’anni sonati  (significa compiuti), ma che ti vai a innamorare come un ragazzino? Questa Beatrice è una donna troppo giovane per te. Lascia stare è? Dammi retta, concentrati sulla Forma e fai tanta meditazione, ma tanta, capito? Pensa a qualcos’altro che è meglio. Alla tua età rischi di prendere una bella batosta  (un danno sentimentale). Poi ‘un ti rialzi più  (poi vai in depressione e non ce la fai a riprenderti)! Capito? Poi decidi te, la vita è tua e sei te che devi capire qual è la tua via», il Sensei, scuote la testa e si allontana.

Passano così, diversi mesi e il “Puntino Nero” è quasi svanito dalla mia mente.

Un giorno come tanti, arrivo al Dojo in ritardo come al solito; mi cambio nello spogliatoio, indosso il kimono nero e le pantofole cinesi nere ed entro a testa

bassa, nella sala, dove il Sensei ha già iniziato la forma e tutti gli allievi lo seguono, come in una danza silenziosa, senza musica. Si sente solo il frusciare delle stoffe dei kimono. Un frusciare all’unisono, un suono delicato, rilassante.

Mi posiziono in fondo alla sala per non disturbare. Inizio a fare la forma, seguo il Sensei e noto di sfuggita, alla mia destra, la presenza di un kimono bianco, con sopra una capigliatura nera riccioluta, mai vista prima.”Deve essere una nuova allieva” penso. Alla terza sequenza, finito di fare il movimento del “dividi la criniera del cavallo selvaggio” dovevo fare il movimento “spazzola il ginocchio”. Mi giro a destra e la vedo. Vedo il “Puntino Nero”. Cioè vedo lei, la nuova allieva.

La nuova allieva è Beatrice.

Rimango bloccato nel movimento “spazzola il ginocchio”.

NARRATORE - Ora vi presento Beatrice.

Beatrice è il “Puntino Nero”, l’ossessione di Ernesto. Ora Beatrice è a casa sua, spaparacchiata (sdraiata comodamente ) sul divano. Vive da sola, è single da diversi anni ed è una donna fondamentalmente serena e positiva. Ora è rilassata e sta leggendo un romanzo.

A un tratto, sul libro, legge una frase che la fa pensare, molto. Ma sentiamo lei cosa ne pensa. Ascoltiamola.

BEATRICE  NEL SUO APPARTAMENTO

“Ciò che unisce due anime possono essere diversi fattori come attrazione, interessi comuni, passione. Se invece ciò che le unisce è più profondo, allora c’è la voglia di lottare al di là di ogni cosa, per conquistare la serenità di entrambe. Se sono pronte a guardare al di là dei propri limiti e degli ostacoli e sono pronte ogni volta a riconfermare dentro di se il sentimento che le unisce, allora quello che queste due anime provano, è sicuramente amore.”

Bella questa frase, me la devo ricordare.

Bellissima. Bisogna che la sottolinei per meditarci. Poter incontrare l’anima gemella e poter mettere in pratica quello che ho letto ora, è fantastico.

Comunque in questo momento della mia vita, sono serena, vivo la mia vita da single, e va bene così. Mi piace leggere libri e ogni tanto scrivo qualche pensiero su di un foglio di carta, che poi, naturalmente dimentico sul tavolo e regolarmente va a finire tra la carta da riciclare. 

Sono un po’ sconsolata sul fatto dell’amore. Ripenso a quello che ho letto proprio ora, E ho conosciuto diversi uomini, diversi amici, ma non ho ancora incontrato l’anima gemella. Altrimenti non sarei qui da sola. Sì, è vero, da questi uomini sono stata attratta, ho avuto interessi comuni con loro, con qualcuno è scattata anche la passione, ma non è scattata la voglia di “lottare al di là di ogni cosa, per conquistare la serenità di entrambi”, com’è scritto sul libro. Forse è perché non è scattata questa voglia di lottare insieme, che non mi sono ancora innamorata. Forse, non siamo stati in grado di guardare al di là dei nostri limiti e degli ostacoli che si sono parati davanti a noi. Non eravamo pronti a riconfermare dentro di noi il sentimento che ci univa. Si forse è andata così. Per questo non ho mai provato il vero amore. Ma poi, esiste il vero amore?

Comunque, ora son’ qui sul divano e mi sto riposando a occhi chiusi, e lascio liberi i miei pensieri di vagare dove vogliono.

So esattamente cosa voglio e quello che non voglio.

Dopo tutti questi anni vissuti da sola, ho capito che le opinioni degli altri non contano. La relazione più importante della mia vita è quella con me stessa. Ora mi fido molto di più del mi’ istinto e del mi’ intuito.

Ora in questo momento mi dico: “Amati Beatrice, più di quanto ameresti chiunque altro. Lascia che le cose si evolvano naturalmente anziché continuare a sgomitare per far accadere ciò che desideri, anche se trovi difficile gestire l'incertezza, sii paziente.” Purtroppo noi esseri umani vogliamo sempre sapere che fine ci tocca fare (faremo).

. Preferisco armarmi di pazienza e vede’ ‘osa mi riserva la legge dell'universo.

Finalmente ho abbracciato la mia indipendenza. Ho capito quanto posso essere forte nel momento in cui mi sento libera. Devo contare solo su me stessa. Essere single mi ha insegnato ad amare le mie stranezze perché sono i miei punti di forza. Sono single, e non sono mai stata più felice di così.

Sono forte abbastanza. Non devo preoccuparmi di essere più magra, più carina o più affermata per meritare l'amore di un'altra persona. Devo accogliere ciò che voglio davvero dalla mia vita e imparare ad amare me stessa prima di tutto. Ho fatto tutto ciò che mi serve per farcela da sola. Sono onesta con me stessa, e merito la felicità.

Ho imparato a essere indipendente, quindi non ho veramente nessun bisogno di rassicurazioni da parte di un partner.

Sento che è cambiato il mio punto di vista nel corso di questi anni da single.

Sono più a mio agio con me stessa e meno preoccupata delle opinioni altrui. Sono tantissimi quelli che, pur essendo infelici del proprio matrimonio, sono troppo pigri perché abbiano la capacità cambiare oppure hanno troppa paura di restare da soli.

Ecco che mi appare un pensiero sulla mia vita da single e alle volte sento che mi manca qualcosa.

Ora che sto passando molto tempo in compagnia di me stessa, sto imparando molto della mia personalità. Stare sola, sento che fa bene al mio spirito, perché, se lo volessi, sono pronta ad amare gli altri, perché ho imparato a conoscermi bene nel tempo. Le mie esperienze mi hanno insegnato quello che mi fa stare bene e ciò che mi fa stare male. Pertanto, se voglio avere una relazione seria, sono sicura che riesco a capire subito se è quella giusta oppure no.

Ora sono single per scelta. Ho rotto con il mio fidanzato storico da molto tempo. Il nostro era un buon rapporto, lui un bravo ragazzo, ma io non ero innamorata. Non potevo accontentarmi, e mi faceva sentire egoista restare con lui pur non provando determinati sentimenti. Sapevo che sarebbe stato un fidanzato meraviglioso per un'altra, ma non per me.

Ora mi sento una persona completamente diversa. E’ vero però che a volte mi sento un po’ sola e mi manca avere qualcuno nella mia vita. In generale, mi piace dedicarmi ai miei interessi, dormire da sola e starmene per conto mio. Ho vissuto da single più a lungo di quanto abbia vissuto in coppia. Sono arrivata ad accettare che forse non mi sposerò mai, e mi sta bene così. Sono pronta a lasciarlo accadere in modo naturale. Fino ad allora, esco con me stessa  (nel senso che anziché uscire con gli amici lei preferisce uscire cn se stessa. Uscire nel senso di andare fuori a divertirsi). Credo che l’essere single dia più fastidio agli altri che a me.

Mi aggrappo molto meno all'idea che arriverà il principe azzurro, ma spero che là fuori ci sia qualcuno per me.

Alle volte mi domando perché sono ancora single e non vivo con un compagno, o un fidanzato o magari perché non mi sono già sposata, ma poi penso che, in effetti, non è stata una decisione intenzionale, è andata così. Non mi è mai interessato accontentarmi, e di recente ho capito che non mi sono mai sentita amata dagli uomini che ho avuto, o forse io non li ho amati e quindi non mi sono innamorata di loro.

Sì, è vero, ci sono dei momenti in cui sarebbe bello avere qualcuno che mi ami.

Mi sento spesso entusiasta e affermata, ma ci sono giorni in cui mi sento sola. È la dura verità. Voglio dire, chi non vorrebbe tornare a casa dal suo compagno e starsene sul divano a farsi le coccole? Penso che, dopo tanto tempo condiviso con qualcuno, si inizi a provare una sensazione di tranquillità e sicurezza nella relazione. Però può accadere anche il contrario e trovarsi in una relazione insoddisfacente, come quella con il mio ex fidanzato. Perciò è stato piacevole allontanarsi da tutto quello e ristabilire il mio senso di sicurezza. Attingo sicurezza dalla cognizione che la vita è imprevedibile e la cosa migliore che io possa fare è continuare a seguire il mio istinto, il mio intuito e le parole del Maestro.

Poi mi conosco. Non sono disposta a uscire con chicchessia solo per non essere single, perciò preferisco passare il tempo con me stessa anziché stare con qualcuno per evitare la solitudine. E poi, sono brava a stare da sola. Vivo per conto mio da tanti anni e la mia vita è piena di cose appaganti che non includono gli uomini.

Sono sicura che questa mia pausa da single mi è servita molto perché se devo decidere di entrare in una relazione, lo faccio solo quando mi sento pronta e non per convenienza.

Ci sono alcune mie amiche, anche loro single, che si affezionano spesso a un uomo perché sentono il bisogno di essere amate e coccolate, ma io credo che non sia perché è davvero l'uomo giusto e il momento giusto. Lo dico spesso a Rebecca, che cerca spesso la compagnia di ragazzi, perché non è in grado di vivere da sola come me.

Io penso invece, che se decido di restare in una relazione, quella relazione deve essere quella giusta. Solo se la desidero sul serio e per me non deve essere un capriccio.

Secondo me le donne che hanno imparato a stare bene da sole, sono indipendenti e sicure di sé, molto più di quanto credano, è che non ne sono consapevoli fino in fondo. Sento che noi donne single affasciniamo con il nostro charme i potenziali partner. Siamo in grado di lasciare spazio e tempo libero all'altro e quindi di vivere una relazione sana e libera. Io che negli anni ho imparato a cavarmela da sola e a godermi il mio tempo libero e soprattutto il mio spazio, sarò perfettamente in grado di lasciare indipendenza e respiro al mio uomo. E questo, senz'altro, è una qualità che un uomo apprezza.

Almeno lo spero.

Mi è venuto un altro pensiero, del tutto diverso. Dimentico anche una cosa molto, molto importante per me. Seguo un corso di Tai chi Juan e dopo tre anni, finalmente ho imparato la Forma e ottenuto l’attestato.

A me piace molto il Taichi. E’ un’arte marziale, molto lenta, la possono fare tutti e a tutte le età. Quando faccio la Forma, mi concentro sul presente, sul “qui e ora” e sui movimenti che devo fare e tutto il resto svanisce. Pensieri negativi, preoccupazioni, ansie e dopo mi sento rilassata e serena. E’ veramente una bella esperienza e mi riempie la vita.

Ora che ho preso l’attestato, il Maestro mi ha consigliato di affinare la tecnica. E’ per questo che ho deciso di tornare al Dojo per riprendere le lezioni con il Maestro.

BEATRICE AL DOJO

Oggi mi sono finalmente decisa, sono partita e sono andata al Dojo. Ho parlato con il Maestro che mi ha subito invitato a prendere parte alla lezione della Forma per gli allievi del secondo anno.

  «Così la ripassi con noi e poi, dalla prossima settimana, puoi frequentare il corso per esperti. Riprendiamo la forma dall’inizio e per ogni movimento, la ripuliamo e affiniamo la tecnica. Sono contento che tu sia tornata, Beatrice. Bella come una rosa. Dai, vatti a mette’ (vai a indossare ) il kimono che s’inizia», mi dice il Maestro, appena arrivata al Dojo.

Uscita dallo spogliatoio, sono entrata nella sala, ho dato una sbirciatina (mi sono guardata intorno ) ma non riconosco nessuno degli allievi presenti. Ora che mi ricordo è successa una cosa strana.

Il Maestro ha iniziato la forma e un allievo, in ritardo, è entrato tutto trafelato, in sala e si è messo in fondo, alla mia sinistra; gli ho dato un’occhiata furtiva, ma tutto sommato, mi ha fatto una bella impressione. E’ un bell’uomo, un po’ in su con l’età forse (forse un po’ anziano), ma di bell’aspetto. Stiamo facendo la forma e siamo arrivati alla terza sequenza; finito di fare il movimento del “dividi la criniera del cavallo selvaggio” c’è il movimento “spazzola il ginocchio”. Perfetto, tutti all’unisono partiamo e facciamo il movimento del “dividi la criniera del cavallo selvaggio”. Questo tipo mi fissa per un attimo, sgrana gli occhi come se avesse visto un fantasma e poi è rimane bloccato nel movimento “spazzola il ginocchio” fissandomi come un ebete (tonto, stupido).

. Noi siamo andati avanti e lui è rimasto fermo come una statua di marmo. Roba da non credere. Poi si è ripreso, è riuscito a recuperare la forma, accelerando i movimenti, ma per tutto il tempo, mi sono sentita i suoi occhi addosso (mi sono sentita osservata). Domani, questa vicenda, la voglio raccontare a Rebecca, così ci facciamo due risate.

ERNESTO AL DOJO

Maremma ladra, sono rimasto bloccato nel movimento “spazzola il ginocchio”, come un imbecille e il peggio è che lei se né accorta. Che figura del cavolo (barbina, da idiota) ho fatto.

Comunque mi sono ripreso quasi subito e sono riuscito a recuperare la Forma velocemente. Spero che il Sensei non se ne sia accorto. 

E’ proprio bella Beatrice. E’ molto più bella che nella foto. Ecco perché mi ha colpito la foto. Mi ha colpito la sua bellezza particolare. Mi sembrava di conoscerla, ma non è così. L’ho vista stasera per la prima volta e sono rimasto folgorato, come quando ho visto la foto.

Alla fine della Forma, vedo il Sensei, che si avvicina a Beatrice, si scambiano due parole e lei gli dice qualcosa, guardando nella mia direzione e puntando il dito indice contro di me. Io faccio finta di niente e accenno due sequenze della Forma per far vedere che non m’interesso a loro. Il Sensei si mette a ridere e sento che dice a Beatrice:

  «Chi lui? No, non è possibile. Sì, è un po’ strano, ma non è pericoloso, stai tranquilla. Vieni che te lo presento», cavolo stanno venendo nella mia direzione entrambi e Beatrice non ha un bello sguardo, mi sembra piuttosto contrariata.

«Ernesto, vieni qui che ti presento Beatrice. Beatrice questo è Ernesto», rimango di stucco (mi sento come paralizzato) e rigido come una statua di sale, con la salivazione azzerata, allungo il braccio come se fosse ingessato e butto là un:

  «Ciao Beatrice come va? Sei una nuova allieva?»

 Il Sensei si mette a ridere e rivolto a Beatrice gli dice ridacchiando:

  «Non ci far caso Beatrice. Che ti dicevo prima? Sì, è un po’ strano, ma non è pericoloso.»

Poi rivolto a me:

  «Ernesto, mi hai fatto una testa grossa così (me ne hai parlato tanto ) con quel puntino nero e ora che è davanti a te, non lo riconosci?»

Beatrice sempre più interdetta, rivolto al Sensei gli chiede:

  «Come un puntino nero, Maestro ma che vuol dire?»

  «Sentite, io ho da fare con gli altri allievi, parlatene tra di voi e chiaritevi», e facendo un inchino con le mani giunte davanti al petto prima a Beatrice e poi a me, si gira e si allontana.

ERNESTO E BEATRICE SI CONOSCONO

Ernesto e Beatrice si trovano uno di fronte all’altro.

Rimangono entrambi in un silenzio imbarazzato, quando, tutto a un tratto, lei parte e spara a zero (lei iniziò e parlò a bruciapelo ) con  un tono piuttosto deciso. Se ne esce (esternò) con questa frase:

«Ernesto, vero? Ciao, Ernesto che storia è questa del puntino nero?»

La guardo negli occhi e mi perdo per un attimo nella sua anima; mi riprendo e le dico:

  «No, niente. L’altro giorno ho visto una foto sul muro, vedi quella là?» Gliela indico con il dito ingessato e la mano che trema dall’emozione. Lei si allontana da me e si avvicina alla foto. La seguo come un cagnolino al guinzaglio. Beatrice si ferma davanti alla foto, la guarda, si volta verso di me e le parte  (inizia a sorridere immediatamente ) un sorriso bellissimo che mi stende  (mi mette ko)

come un colpo di Kung Fu allo stomaco. Mi guarda con gli occhi luminosi e con il dito indica se stessa nella foto, sorridendo. Io rimango folgorato. Tra il sorriso e quello sguardo luminoso rimango in uno stato catatonico. Mi si strozza in gola un:

  «Sì», mi schiarisco la voce e ripeto, «sì. Vedi, quel “Puntino Nero?” Ora so che sei te. Niente. Ho chiesto al Sensei:

  «Chi è questo “Puntino Nero?» Tutto qui.

  «E come mai ti interessa tanto sape(sapere)

chi è quel puntino nero? Forse mi ‘onosci di già  (forse  mi conosci da tempo)? Ci siamo di già visti da varche parte  (ci siamo già conosciuti in qualche luogo), in varche artra occasione che non riordo?» Mi domanda a raffica, sempre con tono deciso, con fare tra il circospetto e il curioso.

  «Non lo so Beatrice, onestamente non lo so. Ho visto quel quadretto e la mia attenzione è stata attratta da quel “Puntino Nero”… cioè da te. Sì, ma allora non sapevo che eri te», sento che mi sto incartando (forse non è proprio lucchese, ma significa “infilarsi in un ginepraio” ) e allora cambio strategia cercando di sviare il discorso.

   «Bene Beatrice, dimmi, ma sei una nuova allieva? Perché fai benissimo la Forma e quindi per me sei molto brava. No, già, se sei nel quadretto non sei una

nuova allieva. Se sei nel quadretto hai l’attestato del terzo anno. Sì, scusa, sono un po’ confuso.»

 Beatrice mi guarda seria e mi dice: «Ha ragione il Maestro.»

  «Su cosa?», rispondo interdetto.

  «Sul fatto che sei strano!» Mi risponde ridendo e aggiunge:

  «Però sei simpatio, via. Giuro, sei simpatio.» 

Ci avviamo verso l’uscita della sala parlottando del più e del meno (parlando di cose generiche)

 e ppoi, (in lucchese si radoppia la lettera dopo la e) davanti allo spogliatoio, ci salutiamo. Le allungo la mano destra per stringergli la sua, ma lei mi fa un piccolo inchino con le palme davanti al petto, come il Sensei e mi dice:

  «Ciao Ernesto. Mi ha fatto molto piace’ di avetti ‘onosciuto. Spero di rivedetti presto, qui al Dojo. Ciao», e mentre si allontana verso lo spogliatoio, le urlo alle spalle:

  «Ciao, Beatrice. Sono contento di aver scoperto che quel “Puntino Nero” esiste veramente e si chiama Beatrice!»  Beatrice, continuando a camminare si volta, mi guarda, ride, bacia le sue tre dita chiuse, pollice indice e medio, della mano destra e aprendole a scatto, mi lancia un bacio. Un bacio che mi sembrano tre!

  «CIAO!», urlo e la vedo allontanarsi e scomparire nello spogliatoio mentre la porta si chiude lentamente e inesorabilmente.

Ci siamo conosciuti così.

Capitolo 4

BEATRICE NEL SUO APPARTAMENTO PARLA AL TELEFONO CON REBECCA DI ERNESTO

Sono rientrata a casa, dal Dojo e ho ancora in testa quello strano tipo che mi ha fissato per un attimo, sgranando gli occhi come se avesse visto un fantasma e poi è rimasto bloccato nel movimento “spazzola il ginocchio” fissandomi come un ebete. No questa è troppo ganza  (cosa simpatica, bella, valida. Esclamazione usata per esprime gradimento o meraviglia). La devo racconta’ alla mi’ amia, ora le telefono.

  «Hoi  (esclamazione non proprio lucchese ma và forte tra i giovani. E’ come dire Ciao, salve) si sono io, senti ti devo racconta’ ‘na ‘osa che m’ è successa al Dojo, senti qua: Uscita dallo spogliatoio, sono entrata nella sala, no   (il “no” in fondo alla frase, per noi Lucchesi significa “giusto”, “ok”, “capito?”)? Ma non conoscevo nessuno degli allievi presenti, perché tutti novi. Il Maestro ha iniziato la Forma e fin qui tutto regolare. Ora senti vesta vì  (questa cosa qui). Un allievo in ritardo è entrato tutto trafelato, in sala e si è messo in fondo, alla mia sinistra, no? N’ho  (gli ho) dato un’occhiata furtiva, perché è entrato in ritardo, ma tutto sommato, mi ha fatto una bella impressione. E’ un bell’omo, un po’ in su con l’età forse, ma di bell’aspetto.»

  «Beatrice, ma che c’è di ‘osì strano? Se a te quest’omo t’è piaciuto a me o cosa mi pole interessà, scusa eh?» risponde l’amica.

  «Sì, hai ragione, ma la ‘osa strana arriva ora. Senti, senti vì  (senti questa). Stavimo  (stavamo)

facendo la Forma no? ed erimo arrivi  (eravamo arrivati) alla terza sequensa; finito di fa’ il movimento “dividi la criniera del cavallo selvaggio” dovevamo fa’ il movimento “spazzola il ginocchio”. Lo ‘onosci no? Perfetto, tutti all’unisono partiamo e facciamo il movimento “spazzola il ginocchio”.  ‘Sto tipo mi fissa per un attimo, sgrana gli occhi come se avesse visto un fantasma e poi rimane bloccato nel movimento “spazzola il ginocchio”. Hai ‘apito? Pazzesco no?»

  «Ma o che c’è di ‘osì pazzesco Beatrice. O si sarà fermato per un attimo, perché era stanco no? Ma io ‘un ti ‘apisco proprio», le risponde interdetta l’amica.

   «Ma il pazzesco è cche si è fermato e mi fissava. Noi siamo andati avanti e lui è rimasto fermo come una statua di marmo e mi fissava. Roba da non crede’  (credere)

Poi si è ripreso, è riuscito a recupera’ la Forma, ma per tutto il tempo mi sono sentita i suoi occhi addosso, capisci? ‘Un è pazzesco?»

  «Oh Beatrice, a me mi  (cari lettori, troverete spesso “a me mi” ma non pensiate che sia un errore! Per noi lucchesi è un vero e proprio rafforzativo sul contenuto lessicale della frase in oggetto) sembri strana tè! Per una volta che un omo ti fissa… e vorrà dì  (vorrà dire)  che ‘ni sei garbata no? O ‘un li ‘onosci ‘ome son’ fatti l’omini? Guardano una e s’imbambolano  (si bloccano, guardano con lo sguardo fisso come le bambole).

A me succede spesso, ma io un li ’alcolo nemmeno  (non li considero per niente).»

  «Comunque questo tipo devesse’ strano forte  (dal lucchese deve essere “molto, molto strano”), mi ha messo in soggession (soggezione) quando ero lì al Dojo.»

  «E allora se continua ‘osì, ni devi di’ ar  (glielo devi dire al)  Maestro, hai ‘apito

  «Sì, se continua a fissammi anche le prossime volte, ni dio (lo dico) al Maestro giuro  (glielo dico al Maestro veramente). Spero che ‘un faccia parte del gruppo degli esperti! Ciao, grazie per avemmi ascortata, sei sempre la mi’ migliore amica, ciao ciao.»

  «Oh Beatrice sta’ tranquilla, seondo me ‘ni sei garbata (piaciuta), e parecchio  (molto) e come si dice, è rimasto folgorato dalla tu’ bellezza. Tutto qui. Credimi, quando una donna piace all’omini, li fa diventà grulli  (diventare sciocchi). Ciao amica mia, ci sentiamo. Ciao ciao.»

ERNESTO A CASA SUA PRESENTA PUMINA LA SUA GATTA

Sono disteso sul divano con Pumina. Pumina è la mia gattina. E’ piccolina, praticamente è un batuffolo di pelo con una testa. Pumina l’ho accolta in casa mia qualche mese fa. E’ rimasta l’ultima di una cucciolata e nessuno l’ha scelta. A me mi sembra un furicchio  (Furetto, animale veloce). Una mia amica, la padrona della gatta mamma, mi ha suppliato di prenderla (adottarla) perché altrimenti l’avrebbe dovuta regala’ a delle persone che a lei non piacciono affatto. Insomma è più contenta se sono io il suo nuovo padrone. Così Pumina, un giorno, è arrivata in casa mia, dentro una scatola da scarpe, miagolando flebilmente. Quel giorno quando l’ho vista ho esclamato alla mia amica:«Oh che mi hai portato. Sembra un pipistrello. Per quello ‘un la voleva nessuno, fa effetto a guardalla

  «Dai ‘un mi fa’ casca’ le braccia  (provare grande delusione) anche te, ‘un esse’ cattivo. Piuttosto guarda che è rimasta piccolina e la devi svezza’ te. ‘Ni devi da’ il latte con il contagocce, perche ‘un riesce a be’ il latte dal piattino», dice tutta preoccupata, «promettimi che lo fai!» La guardo e vedo i suoi occhi imploranti e, mosso a compassione rispondo:

  «Certo, sta’ tranquilla che è in bone mani, il pipistrello!»

  «Dai, ‘un è mia poi tanto ‘osì brutta, dai. E’ particolare, diciamo.»  Cerca di indorammi la pillola (di farmi accettare la situazione) l’amica.

In effetti è particolare, perché ha il musino tutto nero e il resto è rimasto del colore dei gatti siamesi. Così è da quel giorno, che sono diventato il mammo gatto per quel pipistrello, cioè quella gattina. Un giorno si è nascosta tra due guanciali ed è sparita alla mia vista. Mi metto sul divano e la chiamo con quel suono strano con cui si chiamano i gatti. Sbuca all’improvviso dai due guanciali, mi salta sul petto e me la vedo davanti agli occhi. Vedo questo musino nero che mi fissa con quei due occhini celesti e mi fa prima spavento e poi tenerezza:

  «O pporca miseria», esclamo spaventato, «mi sembri un Puma. Oddio il Puma è grosso e te sei piccolina e poi sei femmina. Occhei allora ti chiamo Pumina.»

Detto fatto. Oggi Pumina è cresciuta un pochino, sono riuscito a svezzarla e ora mangia le scatolette di carne da sola e ppoi si lecca ibbaffi per un bel po’ (dopo si lecca i baffi per molto tempo).  

La cosa che mi colpisce di più di questo gatto che è di

razza Thai (razza Thai. In pratica è il Siamese di una volta. E’ proprio bella è davvero elegante nei suoi movimenti)

 e io faccio il Thai chi. Pumina mi è stata regalata da un’amica e per caso era rimasta l’ultima della cucciolata che nessuno aveva voluto. Poi un bel giorno è arrivata in casa mia dentro una scatola da scarpe. Strane coincidenze alle volte che avvengono nella vita. Mah.

Dicevo, ah sì, ora sono a casa, disteso sul divano con Pumina che fa le fusa e sembra un motorino smarmittato. Guardiamo la televisione e ci facciamo compagnia. Certo che è bella la vita da single, però, avere un’amica donna anziché un’amica gatta, forse sarebbe meglio. Oddio, dopo un po’ un’amica donna ti impone una serie di cose da mettere in atto, che una gatta non richiede. Và bhè pensiamo ad altro.

Porca miseria, quella Beatrice mi ha destabilizzato. Si è vero. E' una donna molto bella, ha uno charme particolare, il suo sguardo mi intriga, ma è molto, molto più giovane di me. Forse è meglio che lasci perde’. E’ meglio rimane’ single. Dice un proverbio delle mi parti  (delle mie zone)

Chi stà ben così, un si tramuti  (Se uno sta bene cosi' non cambi)”.

E se fossimo destinati a vivere insieme? Ma no, ma che destinati, io non ci credo al destino. Ma allora perché mi ha colpito il quadretto e poi solo quel Puntino Nero? Se nemmeno la conoscevo quella ragazza.

“Ernesto vai a letto, dormici sopra e buona notte”.  Mi dico mentre mi avvio verso la camera da letto.

Comunicazioni dello scrittore

Fato o Destino

Nel linguaggio moderno il termine fato è stato sostituito da quello di destino che nell'antichità però differiva nel suo significato da quello di fato. Questi infatti, indica l'essere sottoposti a una necessità che non si conosce, che appare casuale e che pure invece guida il susseguirsi degli eventi secondo un ordine non modificabile.      

Il destino invece può essere cambiato poiché esso è inerente alle caratteristiche umane(…)(Ciascuno è artefice della propria sorte) L'unico artefice del proprio destino è dunque l'uomo stesso: concezione questa ricorrente nella mentalità romana che si contrappone all'idea del fato (dominante nel mondo classico) e che considera il romano responsabile protagonista delle sue azioni e della lotta contro il bisogno e la miseria.

(…) James Hillman, riprendendo la concezione eraclitea del destino fa corrispondere l'idea di destino al nostro modo d'essere. Destino quindi determinato psicologicamente dalle scelte che noi facciamo dettate dal nostro stesso carattere o da quelle che altri fanno e che si ripercuotono su di noi condizionando il nostro futuro.

Osho Rajneesh sostiene invece che «Accettare l'esistenza del fato comporta un suicidio, in quanto toglie ogni responsabilità all'essere.»

chi vuole leggere l’articolo integrale può andare a visitare questo sito digitando questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/destino

Torniamo al libro.

NARRATORE

Ho inserito questo articolo in questo punto, perché Ernesto, come molti di noi, crede magari ancora nella predestinazione degli esseri umani. Secondo me invece è l’uomo che, con le sue scelte, in base alla legge di Causa ed Effetto, determina la sua vita e il suo futuro. Il futuro non è altro che il manifestarsi degli effetti del passato, causati dalle scelte dell’uomo. Ora sentiamo che dice Beatrice.

BEATRICE A CASA SUA

Betarice pensa tra sé e sé Certo che è bella la vita da single, avere un amico con cui scambiare qualche parola, la sera, però, forse sarebbe meglio. No, no meglio restare single. Un amico lo si può anche incontrare la sera ad un bar, ad un pub oppure al massimo, lo posso invitare una sera a prendere un caffè.        

Porca miseria quell’Ernesto mi ha squilibrato. Si è vero è un uomo carino, ma è molto, molto più vecchio di me. E’ meglio rimane’ single, vai.

“Beatrice vai a letto, dormici sopra e buona notte.”  Mi dico mentre mi avvio verso la camera da letto.

Capitolo 5

ERNESTO TORNA AL DOJO

Torno al Dojo, ma non vedo Beatrice. Ho chiesto al Sensei, e mi ha detto che ora frequenta il corso degli esperti, in altri giorni della settimana.

Ecco fatto. Ora che ho conosciuto il “Puntino Nero”, mi è scappato di sotto le mani e forse per sempre. Ma, forse è meglio così. Forse ha rivoluzionato troppo e completamente la mia vita in questi giorni ed io ora sto proprio bene così. Così da single. A parte che avrei dovuto pulire tutta la casa, se volevo invitarla a porendere un caffè, e sarebbe stata un’impresa titanica e poi avrebbe sconvolto tutti i nostri ritmi. Si quelli miei e quelli di Pumina. No meglio così.

“E poi diciamocela tutta Ernesto, è troppo giovane per te, dai!”

Appena finita la lezione di Tai chi, il Sensei ci dice:

  «Sentite, la prossima settimana viene un Nuovo Maestro a fare una lezione di Qi Gong. E’ molto interessante e vi consiglio vivamente di partecipare. Il Qi Gong è un tipo di arte marziale, ma a differenza del Tai chi, che è dinamico, questo tipo di Qi Gong è statico. Sono degli esercizi da fare sul posto. E’ una disciplina molto energetica. Chi vuole partecipare è libero di farlo».

Decido di partecipare. Sono molto affascinato dalle arti marziali e mi piace spaziare e conoscerne di nuove. E’ vero che il Sensei oltre al Tai chi ci ha insegnato

Torniamo al libro.

ERNESTO AL DOJO

Il giorno della lezione di QI Gong (Il termine completo qi gong vuol dire quindi tecnica del respiro o tecnica dello spirito o lavoro con l'energia, indicando l'arte di far circolare il Qi interno), come mio solito arrivo in ritardo come sempre.

Non è sempre colpa mia, a molte volte dipende dal traffico e anche dagli orari di uscita dal mio lavoro. Gli orari sono molto ravvicinati all’ora della lezione e quindi, se devo trattenermi qualche minuto in più in ufficio per finire una pratica, dopo devo recuperare quei minuti correndo più veloce con l’auto. Io amo fare il lavoro con precisione, anche se alle volte sono sommerso dalle pratiche che riguardano i progetti che il capo mi affida. Sì, nel mio lavoro sono molto analitico. Modestia a parte credo di avere un livello di intelligenza al di sopra della norma. Scherzo naturalmente. Però sono sicuro che realizzo perfettamente le mansioni che il mio capo mi assegna e desidero che il risultato del mio lavoro sia sempre perfetto. Alle volte anche troppo. Pensate che finché non ho finito ciò che devo fare, rimango incollato alla mia scrivania e devo riuscire a portare a termine il lavoro. Se non lo faccio non ci dormo la notte. Poi come sappiamo bene tutti un lavoro

al giorno d’oggi è grasso che cola  (come a dire che è una situazione fortunata, come dire una botta di culo ecco). E ppoi qui da noi c’è un proverbio che dice “senza lilleri un si lallera  (Senza soldi non si puo' fare un granche')”.

Per farla breve, anche oggi sono in ritardo. Con la macchina sgommo  (faccio stridere le gomme sull’asfalto. Questo è italiano e noi motociclisti, questo verbo,  lo usiamo molto) per le strade di Lucca, facendo fischiare gli pneumatici sull’asfalto, come se stessi facendo un rally. Arrivo, vedo uno spazio tra due macchine bello preciso, cerco di posteggiare  (in italiano parcheggiare) e con la ruota anteriore destra urto il cordolo del marciapiede. La macchina sobbalza, la lascio un po’ di traverso sul marciapiede, ma non ci faccio nemmeno caso dalla premura che ho di arrivare puntuale alla prima lezione, esco dalla macchina con il borsone a tracolla, e corro a perdifiato verso il Dojo.

Porca miseria zozza  (esclamazione popolare di dispetto ) anche alla prima lezione di Qi Gong sono in ritardo. Entro nel Dojo come un ciclone m’infilo nello spogliatoio ed esco dopo solo venti secondi tutto cambiato. Sono stato veloce come Flash! Dallo spogliatoio entro nella sala tutto trafelato. Vedo il Sensei con il Nuovo Maestro di Qi Gong; sono affiancati e gli allievi sono tutti disposti in cerchio, uno attaccato all’altro. Sono tutti ad occhi chiusi e stanno praticando la meditazione prima di iniziare gli esercizi veri e propri. Mi intrufolo tra due allievi che mi fanno gentilmente spazio. Mi metto nella posizione iniziale e prima di fare qualche secondo di meditazione, getto uno sguardo tra tutti gli allievi, per vedere se conosco qualcuno.

Sento il cuore, che batte accelerato per la corsa e, smette di battere per un colpo o due e poi riprende a battere più accelerato di prima. Ho visto Beatrice. E’ dalla parte opposta alla mia, ha gli occhi chiusi e sta meditando. Anch’io inizio la meditazione …, si ma su Beatrice. Vedo che ha una tutina e non è vestita con il kimono bianco, strano. Noto subito che ha i pantaloni della tuta bianchi, di quelli un po’ larghi ai piedi e stretti alla vita. Sopra, indossa una maglietta a maniche corte di colore rosso. Un contrasto con i suoi capelli neri incredibile, bellissimo. Quella maglietta, oltre a essere rossa, è anche leggermente attillata e così riesco a intravedere la sua silhouette. Mi fa venire in mente la canzone di Baglioni, “Piccolo grande amore”. Le parole sono queste : ”Quella sua maglietta fina… tanto stretta al punto che… mi immaginavo tutto… e quell'aria da bambina… che non gliel'ho detto mai… ma io ci andavo matto…”

Sto pensando tutto questo e forse la fisso in modo troppo insistente o con troppo ardore, fatto sta che ad un tratto, lei apre gli occhi. I nostri sguardi si incrociano, mi sorride, richiude gli occhi e continua la meditazione.  Rimango completamente inebetito. Altro che meditazione.

Iniziano gli esercizi e tutti seguono quello che il Nuovo Maestro di QI Gong dice di fare. Io seguo Beatrice.

Torniamo al libro.

ERNESTO AL DOJO DECIDE DI INCONTRARE BEATRICE

Finita la lezione interessantissima di Qi Gong, mi dirigo verso Beatrice che è rimasta al suo posto a sgranchirsi le articolazioni.

«Ciao Beatrice, finalmente ci rivediamo. E’ passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. ‘Un ci siamo più incrociati al Dojo. T’ è garbata (Ti è piaciuta) la lezione? A me molto. Mi è sembrata molto interessante», dichiaro con una certa enfasi.

  «Oh, ciao Ernesto», mi saluta facendo la vaga  (fa finta di niente), mentre continua a fare degli esercizi di scioglimento. Si ferma, si alza in piedi e alzando lo sguardo verso di me, mi guarda dritto negli occhi e mi dice:

  «Sì, molto interessante. E’ una disciplina molto energetia e ancora mi sento tutta elettrizzata. Sai che mi sembra di ave’ sentito la “palla” di energia  (in effetti durante gli esercizi di Qi Gong, se fatti bene, si riesce ad avere la sensazione di percepire come un palloncino di gomma caldo tra le mani) girare tra le palme delle mani? Sì, voglio partecipare sicuramente a questo corso. E te?»

Abbasso un po’ la testa, la fisso negli occhi neri, e mi perdo per un secondo nel suo sguardo intenso e poi le rispondo:

  «Sì, credo che anch’io lo farò, Anzi mi iscrivo subito. Devo organizzarmi un po’ con gli impegni di lavoro, ma credo di riuscire a programmare le uscite in modo di ave’ il tempo necessario per arriva’ puntuale alle lezioni. Allora ci rivediamo al corso di Qi Gong?»  «Siuramente, …  a presto allora», spara  (dice d’impulso)

Beatrice continuando a fissarmi negli occhi.

  «A presto Beatrice, … ciao!» Rispondo.

Faccio fatica a staccarmi dal suo sguardo, ma lei con un gesto della mano mi fa ciao e mi congeda. Volge lo sguardo verso il pavimento e continua con i suoi esercizi di scioglimento. La continuo a fissare per qualche secondo ancora e noto che è veramente sciolta

nei suoi movimenti; sembra un felino. Una pantera nera.

Questo incontro con Beatrice così inaspettato mi ha lasciato un po’ turbato. Sono consapevole che lei cerca sicuramente solo un’amicizia con me, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che mi attrae e mi disorienta. Mi tira a sé, (mi attrae) inesorabilmente come il sole attrae a sé la terra e come la terra attrae a sé la luna. Non è la solita ragazza carina che ho incontrato fino ad ora oppure che mi piace per la sua bellezza o per la sua simpatia; qui c’è qualcosa di più. C’è quel qualcosa che non riesco a spiegare. 

Un altro fatto strano è che mi ha attratto quel Puntino Nero nella fotografia; guarda caso strano, quel Puntino Nero è Beatrice. Io non la conosco e già mi ha attirato nella fotografia.

Sembra quasi che mi abbia attratto lei, che abbia attirato la mia attenzione, prima ancora che si materializzasse a me come Beatrice.

“Che sia amore? Oh Ernesto, ma che amore. Non la conosci nemmeno, e ppoi  è troppo giovane per te! Lascia perde’  (non ci pensare)!” Questa è la vocina del mio subconscio che ogni tanto si fa sentire.

Con questa domanda e risposta che mi sono fatto e dato, nello spogliatoio, mentre mi sto cambiando, chiudo la zip della borsa ed esco dal Dojo.

Arrivo a casa, e decido di farmi una cenetta, così, spero che l’impegno ai fornelli, mi distragga dal pensiero fisso su Beatrice.

Perfetto. Pasta scotta con sugo freddo, patate fritte bruciate e hamburger crudo. Ho buttato tutto nel frigo. La fame mi è passata.

Credo che abbia vinto Beatrice.

BEATRICE PARLA TRA SE E SE DEL SUO INCONTRO CON ERNESTO

Questo incontro con Ernesto non me lo aspettavo. Penso che anche lui è interessato al Qi Gong. Lo so che cerca solo un’amicizia con me, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che mi disorienta. Non è il solito ragazzo che ho frequentato fino ad ora. C’è quel qualcosa che non riesco a spiegare. Forse è il fatto che è più anziano. Lo sento sereno e tranquillo quando parla con me. Mi guarda con quel suo bello sguardo, buono, ma virile; non so definirlo. Mi fa sentire bene, mi mette a mio agio e poi è simpatico. Ogni tanto tira fori  (dice) una battuta così divertente che faccio fatica a non ridere di gusto. Mi piace un uomo quando mi fa divertire. Non è per niente superficiale, anzi, le sue battute sono ironiche e argute.   

“Che sia amore? Beatrice, ma che amore. Non lo conosci nemmeno, e ppoi è troppo vecchio per te! Lascia perde’!” Questa è la vocina del mio subconscio che ogni tanto si fa sentire.

Sul fatto che lo vedo vecchio però mi devo ricredere. Quando l’ho guardato negli occhi, al Dojo, ‘un  mi è sembrato affatto vecchio, anzi lo sguardo è giovanile,

ha una bellissima luce nello sguardo e se ha qualche anno più di me, che male c’è?

“Ma che dici Beatrice! Che male c’è per cosa? Voi forse inizia’ ‘na storia con un omo proprio ora che stai bene così? Ma sei pazza? Dai metti dentro la roba nella borsa e andiamo che è tardi”. Questa è la solita vocina, di prima.

Parlando tra me e me, detto fatto, afferro la borsa, prendo il giubbetto dall’attaccapanni ed esco di corsa dallo spogliatoio. Esco dal Dojo come un razzo.

Arrivo a casa e mi faccio una bella cenetta per distrarmi un po’. Ho una fame insaziabile.  Ora mi rilasso sul divano e mangio schifezze croccanti.

Per rilassarmi, ho ripreso il libro che leggevo l’altro giorno e voglio provare e leggere quella frase che ho sottolineato con il lapis. Vediamo … vediamo... ah eccola qui. “Ciò che unisce due anime possono essere diversi fattori come attrazione, interessi comuni, passione. Se invece ciò che le unisce e` più profondo, allora c’è la voglia di lottare al di là di ogni cosa per conquistare la serenità di entrambe. Se sono pronte a guardare al di la dei propri limiti e degli ostacoli e sono pronte ogni volta a riconfermare dentro di se il sentimento che le unisce, allora quello che queste due anime provano è sicuramente amore”. Allora, vediamo: “Per Ernesto provo attrazione? Bhè un po’ sì, diciamolo. Poca ma la provo.”  In effetti pe’ dilla tutta la verità, sono andata al Dojo alla lezione di Qi Gong perché stranamente dentro di me, c’è la speranza nascosta di poterlo rivedere. Mi è rimasto impresso quest’omo, simpatio, con il volto interessante, rioperto da una barba ‘orta e curata, di colore biondo-castano, con du’ occhi verdi e con lo sguardo intenso, quasi magnetico. Comunque il biondino, anche se non voglio ammetterlo mi piace. Mi piace assai. E’ una grossa lotta dentro di me perché in questo momento non voglio relazioni sentimentali; sto bene così, uffa  (espressione italiana. Interiezione che esprime fastidio, impazienza onomatopea, ricalca lo sbuffo).

Ma poi, andiamo avanti, con le frasi del libro: “Abbiamo interessi in comune? Sì, abbiamo il Tai chi, il Qi gong, la meditazione, entrambi siamo single, ci piace vivere con una certa libertà personale.”. “Ecco qui Beatrice”, mi dice la vocina. “Ci piace vivere con una certa libertà personale”. Per questo siamo single. Per questo fra noi ‘un  potrà mai essecci ‘na storia seria. E ppoi non c’è passione! … “Uffa l’ho scampata bella! Per un attimo ho creduto di essermi innamorata”. No. No.  E’ andata bene ‘osì. Ora vado a letto e mi faccio ‘na bella dormita e domani avrò le idee più chiare. Ernesto è solo un ‘omo simpatio, nulla di più!

 

 

Comunicazioni dello scrittore

Notizie sull’Innamoramento

Queste sono considerazioni puramente scientifiche.

Forse darò un forte dispiacere a chi crede nell’Amore con la “A” maiuscola, o a chi crede che l’amore sia solo un sentimento talmente alto, che non può dipendere dalla sola chimica del nostro corpo. Per dovere di verità scientifica però, bisogna conoscere anche come funziona la natura. Poi tocca a noi decidere del nostro comportamento.

Inserisco alcune considerazioni di quest’articolo che ho letto sul web, proprio in questo momento della storia, perché Ernesto e Beatrice sono in quel punto esatto che, dopo aver incontrato una persona, ne

rimangono inconsapevolmente e piacevolmente attratti. Non riescono a capire il perché di questo trambusto interiore e non sanno ancora cosa fare.  Sicuramente anche noi ci siamo trovati, almeno una volta nella nostra vita, in questa situazione. Allora non ci rimane che leggere le righe seguenti e cercare di capire, come funziona.

 La biochimica dell’innamoramento.

Che cosa accade al nostro corpo e alla nostra mente quando ci innamoriamo?

(…) ...sentite le farfalle nello stomaco? Quello che provate non è soltanto amore, ma il frutto di una serie di sostanze neurochimiche che il corpo produce quando si trova in determinate situazioni.

Quando ci innamoriamo, infatti, il nostro corpo viene colpito da una tempesta chimica, che varia a seconda delle fasi dell’innamoramento che stiamo vivendo. Sono dodici le aree del cervello che si attivano quando ci innamoriamo: siamo soliti credere, quindi, di essere noi a controllare questo genere di eventi, mentre, in realtà, è il nostro cervello che ci induce a innamorarci.

(…) ...le fasi principali dell’innamoramento sono tre: desiderio, attrazione e attaccamento. Ognuna di queste fasi è guidata da ormoni diversi che vengono prodotti dal corpo. Vediamo quali:

Prima fase: il desiderio

È la fase che dà inizio all’innamoramento. Gli ormoni che entrano in gioco in questa fase sono gli estrogeni e il testosterone. Quest’ultimi si attivano subito dopo la fase della pubertà, sia negli uomini che nelle donne, e creano il desiderio sessuale, per poi ridurre la propria attività durante le fasi della menopausa e dell’andropausa. Gli estrogeni e il testosterone stimolano i centri cerebrali che sono in grado di tradurre una fantasia o un desiderio erotico in una risposta anche fisica. 

Ultimi commenti

16.11 | 21:00

Ciao Guido, sai è proprio vero quello che dice la poesia che hai pubblicato. La vita è proprio così, ti ferisce con i suoi rovi ma se hai il coraggio di andare avanti può donarti la serenità.

Condividi questa pagina